Diario da Gaza 97

La strategia israeliana è il caos securitario

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Un gruppo di persone lavora attorno a camion in una zona polverosa.
Valico di Zikim, a ovest di Beit Lahia, nel nord del territorio palestinese assediato, il 25 giugno 2025. Volontari provenienti da famiglie palestinesi organizzate in comitati di prevenzione dei furti sorvegliano i camion che trasportano aiuti umanitari entrati nella Striscia di Gaza.
Bashar TALEB / AFP

Lunedì 30 giugno 2025.

Per comprendere il caos che sta avvenendo a Gaza, prenderò ad esempio una sequenza di eventi tra tanti che si è svolta tra mercoledì 25 e giovedì 26 giugno. Quarantotto ore di ordinario caos nella Striscia di Gaza. Eppure, tutto era iniziato per il meglio. Mercoledì, alcune grandi famiglie, clan della Striscia di Gaza, avevano preso l’iniziativa di proteggere uno dei rari convogli di aiuti umanitari destinati alle Ong internazionali, per evitare che i camion fossero saccheggiati dagli abitanti affamati. Il convoglio era entrato dal valico di Zikim, a nord. Quasi tutti avevano raggiunto i depositi di diverse Ong locali, che stoccano gli aiuti. Il giorno dopo, giovedì, le Ong internazionali avevano inviato degli sms alle famiglie che figurano nelle loro liste, iniziando da quelle più numerose, invitandole a ritirare i pacchi o i sacchi di farina. Questa iniziativa smonta quindi le accuse israeliane secondo cui gli aiuti alimentari verrebbero sistematicamente dirottati.

È una cosa che non piace agli israeliani. Giovedì, poi è entrato un nuovo convoglio nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Kerem Shalom, a sud. Alla prima rotatoria, c’erano degli uomini armati appartenenti a un clan locale che attendevano il convoglio, senza alcun intervento da parte degli israeliani. Gli uomini hanno quindi cominciato a saccheggiare i camion. Lì è intervenuta la polizia di Hamas. Uno degli assalitori è stato gravemente ferito. La polizia ha portato via gli aiuti che è riuscita a recuperare distribuendoli al mercato più vicino. Al ritorno, sono stati presi di mira da un drone israeliano, che ha colpito anche una jeep e una moto. Cinque poliziotti sono morti.

Un centinaio di uomini incappucciati

Poco dopo, i membri del clan hanno attaccato l’ospedale Nasser, l’unico ancora funzionante nel sud, per curare il ferito grave. Volevano essere sicuri che il loro uomo sarebbe stato curato per primo, e pensavano di trovare lì i poliziotti di Hamas. A quel punto, gli uomini armati hanno saccheggiato l’ingresso del pronto soccorso, sparando raffiche di kalashnikov e bruciando due auto della polizia.

Lo stesso giorno, al mercato di Deir al-Balah, una pattuglia della polizia ha fatto il giro delle bancarelle per controllare i prezzi chiedendo ai commercianti di abbassarli. Anche questa è una cosa che non piace all’IDF. Poi un drone ha sparato. Bilancio: quindici morti, tra poliziotti e gente che cercava di trovare qualcosa da mangiare al mercato.

Più o meno alla stessa ora, con grande stupore della popolazione, si è svolta una parata militare in pieno giorno, proprio in mezzo a una strada di Zawaida, nel centro della Striscia di Gaza. Un centinaio di uomini incappucciati e armati di kalashnikov sfilavano marciando in buon ordine. Gli abitanti di Gaza sono abituati a questo tipo di parate, ma in genere sono sempre organizzate dalle diverse fazioni politiche. Questa volta, per la prima volta, è stata una famiglia a sfilare, accusando Hamas di aver ucciso uno dei suoi membri. In testa, c’era un portavoce munito di megafono che urlava: “Hamas ritiri i suoi poliziotti, altrimenti prenderemo in mano la situazione!”. Le immagini della parata sono state poi diffuse sui social, con un montaggio video. Una simile parata militare non avrebbe potuto avere luogo senza il tacito consenso degli israeliani. I loro droni sorvegliano Gaza ventiquattr’ore su ventiquattro. Se tre uomini incappucciati e armati fossero apparsi sul loro schermo, sarebbero stati immediatamente presi di mira e uccisi. E lì c’erano un centinaio di uomini, con il volto mascherato e armati di kalashnikov.

Sempre giovedì, verso le 23:00, c’è stato un nuovo attacco contro l’ospedale Nasser. Questa volta sono stati gli uomini della milizia di Yasser Abu Shabab, di cui ho già parlato, a seminare il terrore per due ore, sparando dappertutto, apparentemente con l’unico scopo di mantenere il disordine. Abu Shabab, che si presenta come il capo di un “movimento popolare” che lotta contro Hamas, non avrebbe mai potuto uscire a quell’ora, a bordo di diversi veicoli, senza l’approvazione dell’IDF. E la zona di Khan Yunis dove ha il suo quartier generale, è indicata come “zona rossa” dagli israeliani, e teoricamente nessuno può avere accesso.

L’esercito uccide i protettori dei convogli

Il giorno dopo, Abu Shabab ha rilasciato una dichiarazione in cui diceva di aver attaccato gli uomini di Hamas che si trovavano all’interno dell’ospedale. Gli agenti di polizia del partito sono spesso presenti negli ospedali, dove gestiscono un piccolo ufficio per registrare le denunce e altri compiti amministrativi.

La legge dei clan

È vero che la maggior parte dei gazawi non vuole che Hamas rimanga al potere. Vogliono la fine della guerra e un governo che prenda in mano la situazione. Ma nessuno vuole la legge della giungla, il potere dei clan e l’ingiustizia che regna ovunque. Certo, Hamas ha governato Gaza con il pugno di ferro. Ma c’era la polizia, i tribunali, si potevano sporgere denunce, i ladri e gli assassini venivano arrestati. La legge veniva applicata. Ora ci sarà la legge dei clan.

Intorno a me, nessuno la vuole e tutti la temono. Ogni famiglia cercherà di militarizzarsi, di rafforzare il proprio potere. Chi non appartiene a uno di questi clan non avrà alcuna scelta. È esattamente quello che vogliono gli israeliani.

Ogni grande famiglia sta consolidando il proprio territorio, ognuna avrà la propria fortezza, attraverso la quale gli aiuti umanitari saranno costretti a passare. Allo stesso tempo, continuano a funzionare le trappole mortali dei cosiddetti aiuti umanitari americani (in realtà aiuti “non umanitari”). Queste elemosine distribuite dal carnefice sono ogni giorno teatro di massacri, con l’esercito di occupazione che apre il fuoco sui civili durante il ritiro degli aiuti umanitari, su ordine degli ufficiali, come rivelato in un articolo del quotidiano israeliano Haaretz1.

L’arma della fame ha già avuto un impatto profondo perché sta distruggendo le fondamenta stesse della società, la sua struttura. Siamo passati da una società unita a una società fragile come una tela di ragno, poi a una società in cui ognuno pensa solo a sé stesso. Oggi il furto viene accettato. È normale saccheggiare i convogli. È un’opinione molto diffusa tra i giovani. È emerso inoltre un nuovo fenomeno: il racket di quelli che riescono a prendere un pacco o un sacco di farina nei centri della Gaza Humanitarian Foundation (GHF). I beneficiari spesso sono costretti a fare deviazioni di parecchi chilometri a piedi per evitare di attraversare il territorio di una grande famiglia. Ma possono anche essere aggrediti in un vicolo da due o tre giovani armati di coltelli.

Il bottino viene quindi rivenduto ai bordi delle strade. Alla fine della giornata, in bella mostra, i giovani cominciano a gridare a gran voce: “Aiuto americano!”. Offrono il sacco di farina a 50 shekel (circa 12 euro), quando in realtà costa 100 shekel (25 euro), poiché i cambiavalute prendono il 50% di commissione per dare dei contanti. Gli israeliani vogliono creare in futuro delle nuove generazioni disgregate, senza punti di riferimento, senza cultura politica, preoccupate solo della propria sopravvivenza individuale. La mia speranza è che non si arrivi a una guerra civile perché sarebbe lo scenario peggiore, una guerra civile tra palestinesi per un sacco di farina, per continuare a vivere.

1Nir Hasson, Yaniv Kubovich et Bar Peleg, “It’s a Killing Field” : IDF Soldiers Ordered to Shoot Deliberately at Unarmed Gazans Waiting for Humanitarian Aid”, Haaretz, 27 giugno 2025.