
Nella guerra di annientamento scatenata da Israele a Gaza nell’ottobre 2023, lo storico della guerra coloniale in Algeria vede, non senza sgomento, il ripetersi nella Palestina occupata di eventi storici molto familiari.
Così, il sanguinoso attacco del 7 ottobre 2023 contro le forze dell’ordine israeliane e i civili ricorda l’attacco dell’agosto 1955 scatenato dal Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) nel nord-est dell’Algeria, nel quadrilatero compreso tra le città di Collo, Philippeville, Guelma e Costantina, durante il quale furono massacrate 171 persone. Una stessa esplosione mortale di odio verso il colonialismo e i coloni, accumulato nel corso di decenni. All’assalto fece seguito una repressione indiscriminata e massiccia che uccise fino a 10.000 civili, già in nome di una “guerra al terrorismo” svincolata da ogni vincolo legale e morale1.
Dal 7 ottobre, sotto molti aspetti, le reazioni di Israele all’attacco di Hamas sono state analoghe a quelle della Francia in Algeria: massacri dettati dal principio della responsabilità collettiva, abolizione di ogni distinzione tra civili disarmati e combattenti, uso di armi proibite, sparizioni forzate, torture, esecuzioni sommarie, detenzioni extragiudiziali di adulti e bambini. Il tutto sullo sfondo di una sistematica disumanizzazione dei colonizzati, anche se quella che si esprime platealmente in Israele, nel governo e nella società, supera, per il suo carattere apertamente genocida, il livello già molto elevato di razzismo coloniale esistente in Algeria.
Ecco, però, che in questi giorni a Gaza è riemerso un altro spettro coloniale con il progetto sconcertante di creare immensi campi di concentramento chiamati in maniera orwelliana “umanitari”.
Il sogno coloniale della deradicalizzazione
Un post del 19 marzo 2025 pubblicato su X dal giornalista israeliano Yinon Magal mostrava chiaramente la vera natura del progetto:
Questa volta, l’IDF vuole evacuare tutti gli abitanti dalla Striscia di Gaza in un nuova zona umanitaria che verrà creata perchè vi rimangano molto a lungo, un’area recintata, dove chiunque provi a entrare dovrà essere innanzitutto perquisito per verificare che non si tratti di un terrorista. L’IDF non lascerà che una popolazione ribelle rifiuti l’evacuazione, stavolta. Chiunque rimanga al di fuori della zona umanitaria sarà coinvolto.
Da allora, secondo quanto riportato dall’agenzia Reuters, il progetto sembra aver preso forma ricevendo l’approvazione degli Stati Uniti, nell’ambito della Gaza Humanitarian Foundation, che ora gestisce in modo esclusivo la distribuzione degli aiuti umanitari nella zona di Rafah e che è stata denunciata come un’impostura criminale da tutte le Ong2. Durante le “distribuzioni”, ogni giorno decine di giovani palestinesi vengono uccisi dai proiettili dell’esercito israeliano appostato in agguato.
Si parla della creazione di “aree di transito umanitario”. Gli storici conoscono bene l’uso di questi eufemismi per designare i campi di concentramento. In Algeria venivano chiamati “centri di smistamento e transito”, “di accoglienza”, “campi di raggruppamento”. Al momento dell’indipendenza algerina nel 1962, un quarto della popolazione era rinchiusa in questi campi, spesso da anni. In questo caso, si tratterebbe del raggruppamento forzato di centinaia di migliaia di abitanti di Gaza in “otto campi”, a Gaza ma anche fuori (si citano l’Egitto e Cipro), in modo che proprio chi li ha affamati e torturati possa fornire loro degli “aiuti umanitari”. Da quanto si dice, sarà necessario anche “deradicalizzarli”, un classico proposito dell’illusione coloniale di controllo totale dei corpi e delle menti delle masse colonizzate, già presente in Algeria.
La “rieducazione” dei colonizzati
Fin dall’inzio, nella sua guerra per annientare la resistenza algerina, la Francia operò infatti su larga scala nelle zone rurali considerate “marce” o “contagiate” dal nazionalismo, accelerando il processo a partire dal 1959. Per sconfiggere un’organizzazione clandestina considerata “come un pesce nell’acqua” di una popolazione colonizzata, era necessario “togliere l’acqua”. Anche a costo di commettere crimini per gli sfollamenti forzati di massa, cosa che l’abolizione di fatto di ogni legge consente di fare in situazione di guerra coloniale, oggi come ieri.
Centinaia di migliaia di abitanti dei villaggi furono costretti manu militari a lasciare le loro case. Furono rinchiusi in migliaia di campi, spesso lontani, che raggruppavano fino a diverse migliaia di persone. Circondati da filo spinato, sorvegliati dall’esercito, spesso sotto la gestione delle famigerate Sezioni amministrative speciali (SAS), i deportati, la cui sopravvivenza dipendeva molto spesso dagli aiuti “umanitari”, dovevano essere “rieducati” – al tempo non si parlava ancora di deradicalizzazione – per diventare anti- Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Lo storico dei campi, Fabien Sacriste, scrive che “i capi delle SAS si sforzano di ottenere l’adesione, se non l’impegno, degli algerini al loro fianco. Per farlo, attingono a un arsenale di tecniche che vanno dalla coercizione (dalla violenza simbolica a quella fisica) alla persuasione”. Il completo fallimento di questa politica di “rieducazione” dei colonizzati è ampiamente documentato.
Le condizioni di sopravvivenza in questi campi di dimensioni molto variabili erano terribili, come rivelò la pubblicazione nel 1959 del rapporto di un giovane stagista dell’ENA di nome Michel Rocard3. Fabien Sacriste stima che “circa 200.000 algerini, per lo più bambini, vi persero la vita” a causa della miseria che spesso regnava nei campi. Allo stesso tempo, vaste regioni svuotate dei loro abitanti, i cui villaggi erano stati rasi al suolo, furono dichiarate “zone proibite”. L’esercito aveva l’ordine di uccidere chiunque vi si trovasse. Rileggendo le dichiarazioni israeliane relative al progetto delle “aree di transito umanitario” la somiglianza è impressionante.
Naturalmente, esistono notevoli differenze tra le azioni francesi in Algeria e quelle di Israele a Gaza e in Cisgiordania. Una di queste differenze è che la Francia era sotto la temuta sorveglianza della comunità internazionale, e persino di parte della sua opinione pubblica, il che le imponeva di limitare in qualche modo la violenza esercitata contro i colonizzati, o almeno di nasconderla il più possibile. Purtroppo, oggi nulla di tutto ciò impedisce a Israele di realizzare quello che è il sogno proibito di ogni colonia di popolamento: far scomparire fisicamente il popolo colonizzato che oppone resistenza.
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1Si veda Claire Mauss-Copeaux, Algérie, 20 août 1955, Payot, 2011.
2Jonathan Landay e Aram Roston, “Exclusive: Proposal outlines large-scale ’Humanitarian Transit Areas’ for Palestinians in Gaza”, Reuters, 11 giugno 2025.
3Michel Rocard, Vincent Duclert, Pierre Encrevé, Claire Andrieu, Gilles Morin, e altri, Rapport sur les camps de regroupement : et autres textes sur la guerre d’Algérie. Vincent Duclert ; Pierre Encrevé ; Claire Andrieu ; Gilles Morin ; Sylvie Thénault. Éditions Mille et Une Nuits, pp.322, 2003.