
Esistono termini, slogan ed espressioni nel vocabolario della rivoluzione palestinese che sono ormai entrati a far parte del vasto patrimonio politico e culturale del movimento internazionale. Intifada, sumud e muqawama sono probabilmente le parole più conosciute e, oggi, non solo occupano un posto centrale nelle mobilitazioni, ma sono accompagnate da una serie di studi e riflessioni che hanno portato a una solida e significativa concettualizzazione delle stesse.
Al contrario, ci sono espressioni che ricorrono incessantemente nel lessico palestinese, ma che rimangono quasi invisibili ai più. Tuttavia, per la loro costante presenza, forse meritano maggiore attenzione. Una di queste espressioni è senza dubbio taṣfīa. Letteralmente, il termine indica il concetto di chiarezza, purezza, ma anche di eliminazione e liquidazione. Un termine che sembra non aver trovato spazio negli ambienti intellettuali (mi si corregga se sbaglio!) ma che per varietà di significati e importanza politica, ha da sempre accompagnato titoli di giornale, riviste, ed è diventato, nel tempo, una vera e propria espressione di denuncia e di accusa contro i detrattori del diritto all’esistenza del popolo palestinese. Un termine che di fatto evoca la volontà dei diversi attori che hanno segnato e stanno continuando a segnare l’intera questione palestinese, i quali in un modo o nell’altro hanno dato il loro contributo al concetto di liquidazione.
È proprio con quest’ultimo significato che la taṣfīa è entrata a far parte dei documenti ufficiali delle organizzazioni, degli slogan e dei dibattiti all’interno della lotta di liberazione palestinese. Col tempo, questa espressione ha acquisito due accezioni principali, che a loro volta hanno assunto sfumature differenti. In generale, si può dire che una prima accezione sia legata all’idea strategica di liberazione, orientata alla liquidazione della presenza sionista in Palestina; la seconda, invece, è antitetica e può essere vista come sinonimo di involuzione, con l’obiettivo chiaro di ridurre le aspirazioni strategiche in favore di soluzioni più accomodanti.
L’evoluzione del significato della “taṣfīa”
È innegabile che, ad eccezione di una breve parentesi negli anni ’60, il termine abbia progressivamente assunto un carattere sempre più involutivo piuttosto che strategico, trasformandosi in una vera e propria accusa rivolta contro chi cercava di allontanare la questione palestinese dal suo carattere politico e strategico. Il sionismo, l’imperialismo occidentale e persino l’OLP stessa sono stati accusati di liquidazione, nell’accezione involutiva del termine. Se nei primi due casi il significato del termine non ha subito grandi modifiche, rimanendo legato all’idea di liquidazione intesa come mantenimento dello status quo, appoggiando la colonizzazione dei territori palestinesi e rivestendo una certa centralità soprattutto durante gli anni degli Accordi di Oslo, nel contesto del campo politico palestinese, la taṣfīa rappresenta invece l’evoluzione (o involuzione) del pensiero politico palestinese. Le trasformazioni ideologiche e strategiche hanno portato con sé la trasformazione del significato definendo soprattutto i cleavages tra le diverse organizzazioni palestinesi in termini di posizionamenti rispetto alle evoluzioni politiche sul campo.
Non è un caso, dunque, che, dati i cambiamenti in termini di strategia all’interno del campo palestinese (da una guerra di liberazione armata alla contrattazione diplomatica), il primo significato resterà sempre più elemento retorico che pura strategia rivoluzionaria.
Uno degli esempi più chiari sull’uso del termine è senza ombra di dubbio la Carta Nazionale Palestinese. Nel 1964, con la pubblicazione della Carta Nazionale Palestinese (al-mithāq al-waṭanī al-filasṭīnī)1 da parte dell’Organizzazione di Liberazione Palestinese (OLP), la taṣfīa ricorreva due volte nelle due differenti accezioni. Se nell’articolo 15 essa si presentava come ‘dovere […] di liquidare la presenza sionista all’interno della Palestina’, nell’articolo 21 faceva riferimento ai ‘progetti di liquidazione della questione palestinese’.
Nonostante l’utilizzo del termine nella Carta possa sembrare sufficiente per chiarirne il significato, a complicare ulteriormente le cose era il fatto che esso non era un elemento di critica solo contro i nemici giurati dei palestinesi (sionismo e imperialismo) o una parola d’ordine strategica; esso era di fatto un modo per criticare anche il campo politico palestinese ogniqualvolta ci si allontanava dagli obiettivi principali della lotta di liberazione.
In questo senso, un esempio fu la critica di Hajj Amin al-Hussein (all’epoca ancora a capo dell’Alto Comitato Arabo) al progetto di creare un’entità palestinese, che come primo passo prevedeva la costituzione dell’OLP. In un discorso pronunciato dalla sua abitazione a Beirut, il Mufti dichiarò chiaramente che “il progetto dell’entità, così come proposto da Shuqairi [a capo dell’OLP], non era altro che un modo per facilitare la liquidazione della questione palestinese”.
La trasformazione di un non-concetto
Seguire, in questo senso, la trasformazione del non-concetto della taṣfīa, significa dunque, comprendere in maniera chiara le relazioni tra le varie organizzazioni palestinesi e il dibattito politico interno. Alcuni passaggi storici forse potrebbero aiutare.
Infatti, parallelamente alla critica all’OLP, il termine taṣfīa inizierà ad assumere un’accezione sempre più negativa, soprattutto con l’adozione del famigerato Programma dei dieci punti” del 1974. Proposto dal Fronte Democratico e successivamente adottato da al-Fatah e dal Consiglio Nazionale Palestinese, il programma prevedeva la creazione di un’entità palestinese in ogni parte del territorio palestinese liberato accanto allo stato israeliano.
Secondo numerosi storici, palestinesi e non, questo evento aprì la strada alla legittimazione da parte palestinese della soluzione dei due Stati. Il programma, infatti, riconosceva implicitamente l’esistenza di Israele, allineandosi di fatto con l’idea di una partizione della Palestina. Questo non solo andava a legittimare la presenza israeliana all’interno del territorio palestinese, ma riconosceva i paradigmi politici e ideologici imposti dagli Stati Uniti nel post-1967 all’interno nel cosiddetto processo di pace in Medio Oriente. Tali paradigmi penetreranno con una certa forza non solo all’interno della comunità internazionale, ma anche nelle organizzazioni palestinesi stesse.
Se da un lato il discorso sulla rivoluzione palestinese, intesa come lotta armata contro il nemico sionista, rimaneva il fulcro del movimento di liberazione nazionale, a partire dal 1974 questa posizione iniziò a cedere il passo a posizioni sempre più lontane dalla taṣfīa wujūd al-sahīūnī (liquidazione della presenza sionista). Tale evoluzione porterà molte delle organizzazioni più radicali all’interno dell’OLP a criticare la decisione di sostenere il Programma dei dieci punti, considerandola come una liquidazione della questione palestinese. La volontà di imporre gabbie ideologiche, da parte delle potenze dominanti, entro le quali mettere in moto un processo di pacificazione, faceva aumentare la polarizzazione dialettica all’interno del campo palestinese. I diversi posizionamenti delle organizzazioni rispetto al piano di pace americano e alla nuova strategia dell’OLP porteranno, infatti, a un’ulteriore trasformazione del significato della taṣfīa che diverrà sempre più un’accusa da scagliare contro i nemici politici. Più la polarizzazione tra organizzazioni aumentava e più questo lemma assumeva significati al limite dell’offensivo.
In un primo momento, all’interno del campo politico palestinese, il termine taṣfīa assunse il significato di incoerenza rispetto ai principi enunciati nella Carta Nazionale Palestinese, che considerava come obiettivo principale la liberazione dell’intera Palestina. In seguito, soprattutto dopo la decisione di proseguire con il progetto diplomatico e l’avvio dei primi colloqui con la comunità internazionale, taṣfīa divenne sinonimo di deviazione. Un esempio di ciò furono le accuse lanciate dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) contro l’OLP, nello stesso anno del voto sul Programma dei dieci punti. Il riconoscimento implicito di Israele fu visto come un chiaro abbandono della strategia rivoluzionaria, segnando di fatto una svolta storica nel movimento di liberazione. Sebbene il FPLP non ruppe mai definitivamente con l’OLP, le accuse di complicità e di legami tra alcune fazioni dell’OLP e Israele divennero un tema centrale nel dibattito politico.
La liquidazione, sebbene inizialmente velata nei testi delle riviste e dei giornali delle varie organizzazioni, era ben presente nel dibattito politico e assumeva con il tempo un carattere sempre più accusatorio, avvicinandosi al significato di tradimento.
La taṣfīa negli anni degli Accordi di Oslo
Questa ulteriore trasformazione del termine aveva due obiettivi principali: il ruolo dei paesi arabi, soprattutto dopo il 1967 e la successiva decisione egiziana di firmare la pace separata con Israele, e l’OLP dopo gli Accordi di Oslo. In particolare, nella seconda fase, la taṣfīa era diretta contro il ruolo assunto dall’OLP durante la prima intifada. In questo caso, il soggetto che subiva la liquidazione o, meglio, il tradimento, era la grande mobilitazione popolare del 1987. Un tradimento che colpiva direttamente e senza mezzi termini l’OLP, che, nel pieno della rivolta, avviò una serie di manovre che portarono alla storica firma degli Accordi di Oslo nel giardino della Casa Bianca, bypassando di fatto tutte quelle realtà sociali che l’intifada aveva creato.
Quest’ultima accezione di taṣfīa caratterizzerà i cosiddetti anni di Oslo, segnati soprattutto dall’occupazione, dall’oppressione e dalla repressione del dissenso, nei confronti dei quali l’OLP si mostrò in parte complice, anche a causa della cooperazione sulla sicurezza con Israele. Il termine ricorrerà con una certa frequenza ogni volta che la neonata Autorità Palestinese si siederà con gli israeliani per negoziare territori e potere, così come a ogni operazione israeliana contro la Striscia di Gaza dal 2008 in poi.
Il fallimento degli Accordi di Oslo e, con esso, il fallimento della soluzione dei due Stati, riporteranno al centro il significato strategico del termine. Infatti, oggi si assiste a una nuova trasformazione del concetto che, se da un lato non rappresenta più l’idea originale della taṣfīa strategica, dall’altro riprende fedelmente la volontà di creare un movimento che miri a evitare il mantenimento dello status quo e allo smantellamento definitivo dei paradigmi imposti dall’illusione di Oslo. Un termine, dunque, che funge allo stesso tempo da allarme e da parola d’ordine strategica, dando senso alle mobilitazioni, al sumud e alla muqawama palestinese contro il rischio di una liquidazione definitiva della lotta per l’emancipazione del popolo palestinese.