La politica sciita e il “Fronte della Resistenza” in Iraq

Mentre l’Iraq affronta equilibri instabili tra potenze regionali e tensioni interne, il “Fronte della Resistenza” emerge come attore chiave. Un’analisi del suo pensiero politico e delle strategie adottate tra identità confessionali e necessità geopolitiche.

Due uomini seduti in una sala con bandiera iraniana, discutono seriamente.
Ali Khamenei, attuale Guida Suprema dell’Iran con l’ex premier iracheno Nouri al-Maliki
Tasnim News Agency/Wikimedia Commons

Dopo l’attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre 2023, che ha portato al conflitto tra i gruppi di resistenza palestinesi e lo Stato ebraico, l’“Asse della Resistenza” o “Fronte della Resistenza” (d’ora in poi solo “Fronte”) ha annunciato una nuova strategia di “unità dei fronti”1. Tale strategia prevedeva che ciascuno dei gruppi appartenenti all’alleanza si coordinasse nello svolgimento di operazioni militari contro Israele a sostegno della lotta palestinese. La Resistenza Islamica in Iraq2 è stata costituita nello stesso mese per unirsi al “Fronte”, conducendo diverse operazioni, la più spettacolare delle quali è stata l’attacco alla base americana al confine tra Giordania e Siria nel gennaio 20243.

Il “Fronte” non è una vera e propria alleanza militare, ma piuttosto una rete di connessione tra gruppi militari e ideologici guidata dall’Iran, che Teheran ha contribuito a creare come un sistema difensivo asimmetrico di forze (per lo più) non statali contro l’egemonia statunitense nella regione e i suoi atteggiamenti aggressivi nei confronti dei paesi nemici: definiti come “Asse del male”, da cui il conio “Asse della resistenza” originariamente derivato in ironica opposizione. I principali attori che partecipano al “Fronte” condividono interessi geopolitici, un’ideologia antimperialista e una teologia politica islamista della liberazione che insiste sulla liberazione dall’oppressione e dall’ingiustizia.

Mentre i casi libanesi e yemeniti sono relativamente noti, questo articolo intende indagare la sponda irachena di questo “Fronte”. Dopo aver presentato il contesto della “politica sciita” e aver mappato i diversi gruppi in relazione a Stati Uniti e Iran, l’articolo sottolinea due aspetti particolari: i rapporti contraddittori di questi gruppi con le istituzioni statali; e la loro natura più o meno popolare.

La politica sciita tra fattori di politica interna e regionale

Il “Fronte” iracheno non può essere compreso senza prendere in considerazione il contesto politico che si è venuto a costituire dopo il 2003 in termini di ‘politica sciita’, nella sua dimensione sia interna che regionale. In termini di politica interna, questa si è sviluppata secondo una divisione comunitaria dello spazio politico tra le tre comunità principali (curdi, sunniti e sciiti), di cui gli sciiti costituiscono la maggioranza. Grazie a questa particolare divisione del potere, i partiti politici sciiti, uniti in coalizioni, hanno guidato il governo del paese. In termini di politica regionale, le conseguenze dell’occupazione statunitense del 2003 hanno creato un contesto paradossale in cui le truppe statunitensi, che avevano liberato i partiti politici sciiti dall’oppressione di Saddam Hussein, sono state successivamente considerate come forze di occupazione. Inoltre, George Bush junior aveva inserito l’Iran nella lista dei paesi appartenenti all’“Asse del Male” nel 2002, poco prima dell’occupazione.

Negli anni successivi, ciò diede origine a una “guerra fredda” tra Iran e Stati Uniti sul suolo iracheno, con le due potenze regionali che si battevano per conquistare il controllo politico e militare del Paese4.

Questi due fattori – politica interna e regionale – congiunti e sovrapposti hanno trasformato la “Casa Sciita” in un luogo in cui attori concorrenti si sono combattuti tra loro per ottenere l’egemonia dello spazio politico, in alleanza o in conflitto con uno dei due concorrenti regionali, iraniano o americano5. Il movimento sadrista, il più grande e popolare tra i partiti sciiti, è stato in perenne conflitto con gli altri gruppi sciiti, il “Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq”6 e il partito Da‘wa. Inoltre, i sadristi si sono confrontati sia con gli Stati Uniti che con l’Iran, considerando i primi imperialisti e il secondo un ostacolo alla sovranità irachena. Ciò si è tradotto inizialmente in un’insurrezione armata contro le truppe statunitensi (dal 2003 al 2005), e successivamente in una politica di contestazione contro la sua presenza militare nel paese. Più recentemente, tuttavia, la politica americana nei confronti dei sadristi è cambiata, poiché Washington ha incominciato a intravedere un potenziale alleato contro l’influenza iraniana. L’Iran, invece, ha sostenuto i sadristi quando questi combattevano contro gli americani nel 2004, ma ne ha poi preso le distanze quando hanno combattuto contro i suoi alleati iracheni.

Questa sovrapposizione di fattori interni e regionali appare evidente nel processo di formazione dei gruppi armati (solitamente chiamati milizie), derivanti da due rami principali: l’Esercito del Mahdi (EM) e l’Organizzazione Badr. L’EM è stato un esercito popolare organizzato spontaneamente attorno alla figura spirituale e carismatica di Muqtada al-Sadr (figlio del rispettato studioso religioso e attivista Mohammad Sadeq al-Sadr), sviluppatosi in seguito in svariati gruppi che gli americani hanno chiamarono «gruppi speciali». Dopo che Muqtada si è dissociato dalla lotta armata, Qais al-Khazali è emerso come il principale attore che ha continuato l’insurrezione contro le forze americane, fino al suo arresto nel 2007. In seguito, il gruppo di al-Khazali - Asa’ib Ahl al-Haqq (AAH) – si è trasformato in un partito politico ed ha intrapreso un processo di integrazione nella politica ufficiale simile a quello dei sadristi. In risposta a questo processo di integrazione della politica da parte degli “ex-rivoluzionari”, Ali Al-Asadi è emerso come la figura alternativa che ha mantenuto il vessillo della Resistenza, formando una nuova organizzazione: “Harakat Hizbullah al-Nujaba” (da ora solo “Nujaba”).

A differenza dell’Esercito del Mahdi, il ramo derivante dall’organizzazione Badr ha generato gruppi armati e politici la cui caratteristica è quella di essere «avanguardisti» più che socialmente radicati. La maggior parte di essi fanno infatti tuttora riferimento al Corpo delle “Guardie della Rivoluzione Islamica iraniano-Forza al-Quds” più che all’opinione pubblica irachena. L’organizzazione Badr fu fondata nel 1982 a Teheran per partecipare alla guerra Iran-Iraq al fianco dell’Iran, come braccio armato del «Consiglio Supremo». Pur rimanendo inizialmente neutrale nei confronti degli americani per l’opportunistica ragione di instaurare un sistema di governo post-Saddam che favorisse la politica sciita, essa ha contribuito alla creazione di nuovi gruppi armati fedelissimi a Teheran, il più importante dei quali è la famigerata Brigata Hizbullah (da non confondere con l’Hizbullah libanese). Questo gruppo, e il suo leader di spicco, Abu Mahdi al-Muhandis, hanno costituito il nucleo di base da cui si è sviluppato, nel 2023, il coordinamento della “Rivoluzione Islamica in Iraq”, il logo intorno a cui si riconosce oggi il “Fronte” in Iraq7.

Prima di questa data recente, tuttavia, questo insieme di sigle e di gruppi armati ideologicamente orientati si sono ritrovati insieme nel 2014 dentro una strutturata unificata, le “Forze di Mobilitazione Popolare” (FMP), createsi in risposta alla famosa fatwa/appello del grande ayatollah Ali al-Sistani.

Il processo di istituzionalizzazione, il “Fronte” e lo «Stato della Resistenza»

Le FMP sono il risultato di una mobilitazione popolare che al-Sistani ha chiesto di creare in funzione anti-ISIS. Per l’autorevolezza e alto rispetto della persona del grande ayatollah, e per la larga condivisione della causa anti-ISIS dentro la comunità sciita, le FMP sono apparse come una struttura dentro cui i gruppi armati - pro-iraniani e non - potevano partecipare ottenendone una legittimazione popolare e religiosa. A prendere le redini di questo processo sono state ben presto le due figure chiave di Abu Mahdi al-Muhandis e Qassem Soleimani: rispettivamente il capo iracheno delle Brigate Hizbullah e il leader iraniano delle Forze al-Quds. Dopo lo slancio iniziale spontaneista, questi infatti hanno fanno in modo di creare una struttura in cui i vecchi gruppi si integravano con le nuove reclute.

Mentre questo stile di mobilitazione popolare a guida iraniana veniva replicato nella vicina Siria nel 2015, iniziava in parallelo un processo di istituzionalizzazione che portava le FMP a diventare un corpo ufficiale delle forze armate irachene (2016). Un processo che ha creato delle contraddizioni. In effetti, molti leader hanno iniziato a partecipare alla politica ufficiale, candidandosi alle elezioni e diventando parte dell’apparato dello stato: come ministri, deputati o alti funzionari. Questo mentre le loro organizzazioni – che in questa congiuntura si incominciavano a identificare come un progetto ideologico separato, ovvero quello appunto del “Fronte”- si sono impegnate nella lotta armata. La contraddizione sta nel fatto che esse hanno integrato una istituzione dello stato, le FMP, che in teoria è sottoposta all’esecutivo, mentre i gruppi del “Fronte” continuano a dipendere dai loro specifici programmi e comandanti che spesso sono in conflitto con le politiche del governo, come dimostra ad esempio l’attacco alle basi americane nonostante queste siano nel paese nell’ambito di un accordo quadro con governo.

La tensione, tuttavia, non è solo tra lo Stato e i gruppi appartenenti al “Fronte”, ma tra i gruppi del “Fronte” stessi, che non sempre hanno condividiso la stessa linea strategica. Il caso più eclatante a proposito è quello del già citato leader di “Nujaba”, al-Asadi, che ad un certo punto ha contestato al-Khazali su un piano di legittimità “rivoluzionario”: nel senso che quest’ultimo è stato accusato di aver dato priorità alla politica rispetto alla resistenza. al-Asadi, invece, ha rivendicato una militanza basata sulla ‘Resistenza’ tout court. Uno spirito rivoluzionario racchiuso nel motto “il popolo, la resistenza e lo Stato” che si ispirava e riecheggiava quello di Hizbullah libanese, “il popolo, la resistenza e l’esercito”8. Al-Khazali, da parte sua, non negava il principio della Resistenza ma lo trasportava al livello dello stato. Così posta la questione, egli rispondeva alle critiche di al-Asadi sostenendo che l’integrazione di AAH nella politica istituzionale non implicava una rinuncia alla Resistenza, ma ad un livello superiore. Uno in cui lo stato stesso con le sue istituzioni interpretava questo spirito rivoluzionario, basato sui valori condivisi del sostegno ai deboli e alla condanna dell’ingiustizia: il cosiddetto “Stato della Resistenza". Questa era una fase, in altre parole, in cui “l’autorità, il popolo e le leggi (il sistema) debbono rifiutare congiuntamente l’ingiustizia”9.

Va sottolineato che questo specifico dibattito ha coinvolto in particolare gruppi come il Nujaba e AAH che sono gruppi post-sadristi (fuoriusciti dal ceppo sadrista originario dell’esercito del Mahdi), la cui caratteristica fin dalla nascita è stata di essere radicati nella società. La qual cosa li contraddistingue dai gruppi «avanguardisti» derivati dal ceppo badrista.

La defezione sadrista dal campo della “Resistenza”

Il movimento sadrista condivide con il “Fronte” i principi ideologici fondamentali, una teologia politica attivista di liberazione, e una visione antimperialista che sposa l’antiamericanismo all’attaccamento alla causa palestinese. Ciononostante, Sadristi e “Fronte” non si sono incontrati. Questo per due ragioni: una antica rivalità storica; e una diversa visione del rapporto con l’Iran, che per il “Fronte” include l’aspetto religioso oltre che politico, mentre per i sadristi prevale il pirncipio dell’autonomia nazionale, sia religiosa che politica. In termini teologici la questione è ovviamente legata all’obbedienza alla wilayat al-faqih (cosiddetta “Tutela del giuriconsulto”) di Teheran.

Mohammad Baqer al-Hakim aderì alla wilayat al-Faqih di Khomeini durante il suo esilio in Iran negli anni ‘90. Da lì denunciò Mohammad Sadeq al-Sadr, padre di Muqtada, come collaboratore del regime di Saddam. Questo ultimo aveva in effetti enunciato il principio teologico di una wilayat al-Faqih nazionale irachena. L’esercito di Badr, allora ala militare del “Consiglio Supremo”, fu accusato invece di aver torturato i soldati iracheni catturati durante la guerra tra Iraq e Iran (1980-88) e di non essere intervenuto a favore degli sciiti quando questi tentarono la ribellione negli anni ’90. L’animosità tra le due parti è persistita dopo il 2003, raggiungendo il livello di un confronto aperto tra il 2005 e il 2008, quando l’esercito del Mahdi si è scontrato sia con Nouri al-Maliki – il primo ministro del partito Da‘wa – sia con i Badr.

I contrasti tra le diverse correnti politiche sciite e i sadristi sono continuati nel tempo, con questi ultimi che hanno accusato le FMP – che includevano la maggior parte dei gruppi del “Fronte” - di corruzione politica e comportamenti violenti contro manifestanti pacifici. I sadristi fanno essi stessi parte delle FMP attraverso le “Saraya al-Salam” (Corpo di Pace), un corpo riciclato degli elementi dell’esercito del Mahdi. Ma i sadristi e il loro «esercito» istituzionalizzato sono rimasti come un corpo separato, rispondente a una logica propria, diversa da quella degli altri gruppi del “Fronte”.

Un buon modo per notare le differenze tra i vari gruppi del fronte e i Sadristi è confrontare la posizione di entrambi sulla questione siriana. Sia i sadristi che i gruppi del “Fronte” hanno condiviso la stessa lettura del conflitto; che essi hanno visto perpretato per procura dagli “americano-sionisti”, che nell’abbattere il regime di Asad cercavano di indebolire il fronte regionale antagonista. Tuttavia, Muqtada non è mai giunto alla conclusione che un intervento militare fosse necessario, come sostenuto dall’Iran e dalla sua rete collegata del “Fronte”. Egli si è più volte espresso a favore della sovranità nazionale della Siria e del diritto del popolo siriano a rivendicare i propri diritti contro un regime repressivo10.

I sadristi e il “Fronte” hanno intrapresero quindi due strade diverse, nonostante una comune visione ideologica. La defezione dei Sadristi è stata una perdita importante per il “Fronte”, poiché questi sono il più importante movimento popolare sciita in Iraq.

Considerazioni finali

Il tentativo di dare vita a un progetto di “Fronte della Resistenza” in Iraq si scontra con alcune questioni spinose, la più importante delle quali riguarda lo stretto legame dei gruppi della “Resitenza” con la politica regionale iraniana, e l’intreccio perverso tra partecipazione statuale e guerra armata non sanzionata. Ciò ha creato un malsano sovrapporsi tra questioni di politica interna e geopolitica regionale, in cui gli interessi strategici dell’Iran, via i gruppi locali ad essi affiliati, sono apparsi talvolta in contraddizione con gli interessi nazionali iracheni, almeno secondo la percezione che buona parte della popolazione ha di essi. Del resto, questa dialettica tra fattori interni e regionali è un fattore per tutte le varie realtà del “Fronte”, non solo irachene. Ciascun contesto locale si confronta con le proprie problematiche interne mentre cerca di proiettarsi all’esterno in difesa della causa palestinese e dell’antiamericanismo.

A maggior ragione un terzo fattore importante è da tenere in considerazione: il supporto popolare. Mentre Hizbullah libanese e Ansar Allah in Yemen sono francamente dei movimenti di massa con una larga base sociale, il “Fronte” iracheno si caratterizza per la presenza di gruppi piuttosto avanguardisti/elitari che hanno fatto fatica a integrarsi tra la popolazione, laddove il movimento sadrista, il gruppo più affine per radicamento popolare a Hizbullah in Libano, ha rifiutato di aderire al “Fronte” per le ragioni sopra ricordate, minandone il supporto e l’influenza.

1“The Phrases ‘Unity of Fields [of Battle]’, ‘Unity of Fronts’ or ‘Axis of Resistance’: Between Slogan and Reality”, Institute for Palestine Studies https://www.palestine-studies.org/en/node/1654679

2Articolo elaborato nell’ambito del progetto PRIN ‘We Want Bread, Not Bullets’: Iraqi Food Politics in Historical Perspective, finanziato dall’Unione europea- Next Generation EU, Missione 4 Componente 1 CUP C53D23000140006.

3Chatman House, (2025) “The shape-shifting ‘axis of resistance’. How Iran and its networks adapt to external pressures’”, 6 March, 2025. https://www.chathamhouse.org/2025/03/shape-shifting-axis-resistance/02-how-axis-was-formed-and-how-it-has-evolved

4E. Sadeghi-Boroujerdi. “Iran and the ‘Axis of Resistance’: A Brief History”, 19/5/2025, Jadaliyya. https://www.jadaliyya.com/Details/46685

5Mansour, R. “Networks of power: The popular mobilization forces and the state in Iraq”, https://www.chathamhouse.org/sites/default/files/2021-03/2021-02-25-networks-of-power-mansour.pdf

6Consiglio Supremo Islamico dell’Iraq dal 2007, in breve solo “Consiglio Supremo”

7Knights , M., “Kataib Hezbollah Is Part of Iraq’s PMF”, Washington Institute, Apr 15, 2024, https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/kataib-hezbollah-part-iraqs-pmf

8Rudolf, I. “All the Mahdi’s Men: Contextualising nuances within the Iraq’s Islamic resistance”, Studies in Conflict & Terrorism, 1–27, 2024.

9Ibid., pp. 433-4.

10Clark, M.D., “Understanding the Contrasting Policies of Hezbollah and Sadrist Movement towards the Syrian Civil War”, HH Sheikh Nasser al-Mohammad al-Sabah Publication Series, Number 22: June 2018.