Diario da Gaza 92

“È la strategia di ogni potere coloniale: dare da mangiare e uccidere”

Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.

Un gruppo di persone cammina in un ambiente polveroso, portando scatole.
Rafah, 29 maggio 2025. Palestinesi sfollati trasportano rifornimenti di soccorso della Gaza Humanitarian Foundation (GHF).
AFP

Mercoledì 28 maggio 2025.

Ieri migliaia di palestinesi, nella zona di Al-Mawasi, Rafah e Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza, si sono precipitati verso un nuovo centro di “distribuzione degli aiuti umanitari” che l’esercito di occupazione aveva allestito insieme all’associazione americana con sede in Svizzera Gaza Humanitarian Foundation (GHF) e che è protetto dalla società di sicurezza americana Security & Risk Solutions (SRS).

Avrete sicuramente visto le immagini della folla affamata che si precipita per ricevere i pacchi. Sono due mesi che il nostro popolo non ha né da mangiare né da bere. Quando hanno saputo dei centri, le persone si sono precipitate lì. È successo a Rafah, cioè in mezzo a un terreno incolto grigiastro, visto che la città è stata completamente rasa al suolo. Perché hanno scelto di farlo? Per costringere la popolazione ad andare verso sud. È l’arma della fame: cibo in cambio dello spostamento forzato.

Ieri c’è stato un primo test. Il centro si trova all’altezza della rotatoria detta della Bandiera, a ovest della città. Per attirare gli abitanti di Gaza, gli israeliani hanno pubblicato delle foto sui social che mostravano persone che ricevevano scatoloni con tutto ciò che manca a Gaza: un chilo di farina, un chilo di zucchero, riso, olio di semi, biscotti, ecc. Il ministro della Difesa israeliano e lo stesso Netanyahu lo hanno detto chiaramente: la distribuzione degli aiuti alimentari ha lo scopo di incoraggiare la popolazione a spostarsi verso il sud della Striscia di Gaza. Sarebbe meglio dire “per costringerla”, visto che nella situazione di carestia in cui si trovano gli abitanti di Gaza, gli aiuti alimentari possono fare la differenza tra la vita e la morte.

Chiusi nelle recinzioni… come le pecore

Le condizioni dovevano essere le seguenti: un pacco di aiuti alimentari per ogni capofamiglia a settimana. Ogni capofamiglia è tenuto a presentarsi con un documento d’identità per ricevere un security clearance che attesti che è clean (“pulito”), ossia che non abbia legami né con Hamas, né col Jihad islamico, né faccia parte di alcuna fazione. Le dimensioni e il contenuto del pacco dipendono dal numero di persone per famiglia.

Ieri, invece, l’esercito di occupazione ha aperto le porte a tutti, senza verificare l’identità. C’erano migliaia di persone in fila, tra cui ragazzini di dodici anni e persino bambini più piccoli. Hanno iniziato a radunarsi lungo i corridoi, senza dubbio allestiti dagli israeliani e non dalla società di sicurezza americana SRS. Le file erano delimitate dalle recinzioni in lamiera ben riconoscibili: si trovano ad ogni posto di blocco israeliano in territorio palestinese, a Erez, al confine con Israele prima della guerra, ma anche in Cisgiordania, come a Qalandyia, il posto di blocco sulla strada per Ramallah. Noi le chiamiamo halabat, come le recinzioni che usiamo per incanalare le pecore, per portarle ad abbeverarsi... o al macello.

Poi la folla si è accalcata e si è creata la ressa. Gli uomini della compagnia di sicurezza americana si sono defilati. I soldati israeliani, poco lontano, hanno cominciato a sparare in aria. Chiaramente non volevano sparare sulla folla, come al solito, per paura di far fallire la distribuzione. L’intenzione era mostrare al mondo intero che il loro sistema funzionava e che gli abitanti di Gaza erano arrivati fin lì perché odiano Hamas e preferiscono gli occidentali. Ma sono caduti nella loro stessa trappola. Certo, la gente è arrivata in massa. Ma hanno portato via tutto (non mi piace usare il termine “saccheggiare”): scatoloni di cibo e persino... gli halabat, visto che le lamiere sono un oggetto molto ambito a Gaza, perché servono per costruire rifugi di fortuna. Hanno portato via anche i tavoli su cui veniva distribuito il cibo, per ricavare legna da ardere per alimentare i forni di argilla, l’unico mezzo per cuocere gli alimenti. È stato quindi un totale fallimento. La SRS ha annunciato la sospensione dell’operazione per ventiquattro ore, ma credo che ci vorrà più di un giorno. L’idea è di introdurre nuove misure di sicurezza ma, soprattutto, attivare il vero sistema per attirare verso sud chi che, come me, vive nel nord dell’enclave, creando diversi centri di distribuzione degli aiuti alimentari. Il più vicino forse verrà allestito all’interno del corridoio di Netzarim, che divide in due la Striscia di Gaza a pochi chilometri a sud della città di Gaza. Ma sarà uno spostamento a senso unico, ha avvertito l’esercito israeliano. Chi, dal nord, entrerà nel corridoio per ricevere aiuti alimentari non potrà tornare indietro. Potrà solo andare verso sud.

Ecco, è sempre la stessa strategia di guerra psicologica: far finta di salvarci dandoci da mangiare, mentre ci stanno distruggendo. Contemporaneamente, ci sono stati massacri come non se ne erano mai visti prima.

Missili in grado di ridurre in cenere tutto ciò che colpiscono

Ha scioccato tutti l’immagine della fuga di una bambina di cinque anni, Ward Al Sheikh Khalil, tra le macerie di una scuola in fiamme dove, a causa di un raid israeliano, era morta tutta la sua famiglia. In quella scuola bombardata avevano trovato rifugio gli sfollati. La famiglia di Ward era tra questi. Si erano già spostati più volte, fuggendo all’inizio della guerra dal loro quartiere di Shujaiya, nella città di Gaza, per andare a Rafah, poi a Khan Younis, poi a Deir al-Balah, per tornare a Gaza City dopo il cessate il fuoco, come molti altri sfollati; come me e la mia famiglia. Gli Al-Khalil avevano trovato la loro casa a Shujaiya distrutta. Avevano piantato una tenda sulle macerie. Ma dopo la violazione del cessate il fuoco da parte di Netanyahu nel mese di marzo, Shujaiya è stata invasa dall’esercito israeliano, costringendo la famiglia di Ward a fuggire di nuovo e a trovare riparo nel loro ultimo rifugio: quella scuola dove sono stati bruciati vivi. Vittime di una nuova tecnologia israeliana: missili in grado di ridurre in cenere tutto ciò che colpiscono. È un esempio della strategia israeliana: dare da mangiare e uccidere. È la strategia di ogni potere coloniale: fiaccare le forze dei colonizzati affinché abbiano bisogno degli aiuti. Ci uccidono 24 ore su 24, esercitano un blocco totale della Striscia di Gaza; ma, allo stesso tempo, vogliono farci credere che sia Hamas a privarci del cibo e che loro, gli israeliani, siano invece lì per salvarci. Perché sono l’esercito “più morale del mondo”.

Questo crea una grande confusione nella mente dei gazawi. Molti non riescono a capire cosa stia succedendo esattamente. Gli israeliani vogliono il nostro bene? Perché ci colpiscono e, allo stesso tempo, ci danno da mangiare? La loro intenzione, in realtà, è distruggerci psicologicamente, distruggere il nostro senso della realtà. Il nemico che ci bombarda 24 ore su 24 ora è quello che ci soccorre.

Israele dice in sostanza: sì, vi priviamo del cibo perché Hamas dirotta gli aiuti umanitari. È un pretesto che usano fin dall’inizio. Hanno iniziato con il bloccare gli aiuti umanitari perché, a loro avviso, c’erano bande di beduini o altri che saccheggiavano i convogli con le armi in pugno.

Un sacco di farina… a 1000 euro

Come ho già raccontato, è noto che chi protegge queste bande di saccheggiatori siano gli stessi israeliani, con l’aiuto di droni che attaccano gli uomini che cercano di proteggere i convogli. Guarda caso, a Rafah non c’è quasi più nessuno, tranne l’esercito e le bande palestinesi armate di kalashnikov. Secondo l’esercito, sono lì per proteggere gli aiuti umanitari. Ma proteggere da chi e da che cosa? Mentre operano fianco a fianco con questi clan mafiosi. Oggi si accusa Hamas di dirottare gli aiuti umanitari. Forse è vero, forse no. Ne ho parlato spesso con molti miei amici, tra cui dei diplomatici che mi dicono: “Ci sono rapporti che dimostrano che Hamas dirotta gli aiuti”. Io rispondo con una domanda: “Visto che avete rapporti attendibili e seri, dovreste sapere anche perché Hamas lo fa”. E, invece, no, non lo sanno. E allora dico: “Se fosse vero, sarebbe solo per rivendere gli aiuti in modo da poter pagare i dipendenti o dare da mangiare e da bere alla base popolare di Hamas. Ma voi prendete in considerazione solo la versione israeliana”.

Se ogni giorno passassero 500 camion di aiuti umanitari, Hamas li dirotterebbe? Se gli aiuti arrivassero a tutti, non ci sarebbero saccheggi. L’abbiamo visto dopo il cessate il fuoco e l’apertura dei valichi. Gli aiuti umanitari sono arrivati in grandi quantità e un sacco di 25 chili di farina era sceso a 5 shekel, ovvero 1,25 euro. Tre giorni fa, ho pagato lo stesso sacco di farina l’equivalente di 1.000 euro. Sì, avete letto bene, 1.000 euro!

Noi palestinesi siamo sempre ascoltati con diffidenza

Se davvero volete il bene dei palestinesi che cercano di sopravvivere a Gaza, fate arrivare un maggior numero di aiuti umanitari e il mercato parallelo scomparirà. Purtroppo, la maggior parte della gente continua a credere a ciò che dicono gli israeliani, e non alle parole dei gazawi. A volte ci ascoltano, altre solo a metà, ma sempre con diffidenza. Eppure, ogni dichiarazione di chi che non è di Gaza, né sul posto viene presa per oro colato.

Ecco il motivo per cui gli israeliani vietano l’ingresso nella Striscia di Gaza ai giornalisti stranieri, ai diplomatici e in generale a chiunque sia interessato a raccontare questa realtà. È una situazione che viviamo da tempo: la nostra parola conta sempre meno. Naturalmente ci sono delle eccezioni, ad esempio quegli osservatori esterni che conoscono davvero Gaza, come lo storico francese Jean-Pierre Filiu, che ho avuto modo di incontrare durante il suo soggiorno di un mese a Gaza, da cui ha tratto un libro appena pubblicato. So che il suo racconto ha avuto grande risonanza in Francia, e di questo lo ringrazio.

Voglio dire al mondo occidentale: non ascoltate gli israeliani. Sono gli occupanti. Il ladro non dice: “Sto rubando”. L’assassino non dice: “Sto uccidendo”. E quando la vittima dice: “Mi stanno uccidendo, mi stanno derubando, mi stanno facendo morire di fame”, non mente. Eppure, questa inversione di ruoli funziona. Noi, che siamo le vittime, siamo indicati come i carnefici. La macchina da guerra agisce insieme a una macchina mediatica.

Smettetela di usare Hamas come spauracchio

Volete fermare questa carestia? Inondate Gaza di aiuti umanitari. E smettete di usare Hamas come spauracchio. Israele lo usa da tempo. Israele vuole affamarci? È colpa di Hamas. Israele vuole deportarci tutti in paesi stranieri? È colpa di Hamas.

Ho un messaggio anche per Hamas. Non parlerò per l’ennesima volta della differenza tra coraggio e saggezza, ma bisogna guardare oltre il proprio naso, guardare più lontano. Il progetto israeliano prevede la deportazione, un progetto che mette in gioco l’esistenza stessa dei palestinesi. Non bisogna dare a Israele il minimo pretesto per portarlo a termine. So che i negoziatori presenti al Cairo o in Qatar fanno altri calcoli. Per loro è necessario mantenere una posizione ferma, dare una dimostrazione di forza all’occupante. Certo, Hamas è ancora forte, mantiene ancora una base popolare. Forse non si riuscirà a sradicarlo, ma la popolazione sì. Bisogna essere pragmatici. Non è una vergogna alzare bandiera bianca se è per il bene della nostra popolazione. Il piano israeliano non è più un segreto, ma è sul tavolo: deportare 2,3 milioni di palestinesi. Mettete fine a tutto questo! Fate qualsiasi concessione! Per quanto possiate essere forti, se non ci saranno più palestinesi in Palestina, non ci sarà più Hamas. Le migliaia di vittime che si precipitano verso il carnefice per avere una scatola di cibo sono l’immagine della sua sconfitta, che si tratta della peggiore umiliazione del nostro popolo e tutto questo deve finire, a qualunque costo.